Cagliostro – Pisa

Il Duca di Cagliostro era un alchimista. Ma anche un massone e un taumaturgo. Se oggi un ristorante volesse prenderne in prestito il nome, incarnarne lo spirito, dovrebbe senz’altro essere ambiguo, con spazi inattesi e altezze spropositate. L’antro di un mago. Ricco di quella che si dice “atmosfera”.

Cagliostro è nato proprio così. E così si sforza di rimanere – nonostante le macchie, le grinze e un po’ di polvere… Sicuramente l’allure dei primi tempi è diminuita. Anche se questo, parlando strettamente di cibo, spesso è un bene.

Dentro l’enorme atrio, luce soffusa e camerieri gentili. In sala, tracce di mondanità sparse qua e là. Una volta seduti al tavolo, più che il menù colpisce la bella lista dei vini, che elenca con dovizia molti cru d’Italia, anche in sovrapposizioni verticali di annate. C’è una sala fumatori ben ventilata. E qualche scrostatura di troppo alle pareti.

La selezione dei piatti in carta è ben calibrata. Dopo attenta valutazione, sarà paté di cappone con mousse di sedano rapa; lasagnetta con ragù di cinghiale e salsa alla polenta e olive nere; petto d’anatra all’arancia. Caffè.

Il paté, in forma trapezoidale, ha un buon sapore di cappone bollito ed è reso compatto dalla presenza mitigatrice delle patate. Logica vorrebbe che la mousse di sedano rapa (acquosa e poco “mousse” – piuttosto “pappetta”) fosse un valido contrappunto gustativo. Niet! L’abbinamento risponde al corollario che vuole delicatezza sommata a delicatezza uguale scipitaggine. Solo un buon olio extravergine, disposto come un collier attorno al piatto, ingolosisce i vari bocconi.

La lasagnetta è il piatto più controverso: una sfoglia di pasta all’uovo richiusa a fagotto e – almeno al termine della sua lavorazione – passata sotto la salamandra incandescente. Risultato: un sopra croccante e biscottato e un sotto molle e impregnato di ragù. Che poi fuoriesce abbondante dal ventre molle della lasagna stessa, non appena la si attacca. Attorno una scia di polentina bianca, punteggiata da briciole scure di oliva, come fosse una salsa. Un piatto “pasticciato”, un amarcord di pranzi domenicali passati. Tutto sommato buono. Ma di una bontà opinabile perché troppo soggettiva.

Il petto d’anatra è cotto con tempi e modi corretti. Salsato quanto basta (potrebbe esserlo meno, ma è giusto una questione di stile). L’arancia gioca con la carne proprio come faceva nella ricetta classica, ma con piglio moderno. Pur non essendo nient’altro che un buon petto con una buona salsa di fondo e arancia, il piatto funziona a meraviglia.

Conclusioni. Cagliostro resta in bilico tra una Pisa da bere, anni ’90, nella quale certamente svettava come punta di diamante – e nella quale indugia ancora – e un locale più attuale, con cucina svincolata da goffaggini (il pepe macinato come decorazione su ognuno dei tre piatti, ad esempio) e nuovo slancio creativo. Specialmente se creatività non è sinonimo di stranezza.

Però ci si sta bene, tranquilli. Facile dimenticare l’orologio. Si è ben consigliati sul vino – con opzioni per tutti i portafogli. Si è serviti con attenzione. Si mangiano preparazioni appetitose. E si paga l’onesto: circa 30€ per una cena completa, dolce escluso. Vino conteggiato a parte. Tre ganasce e mezzo.

3 ganasce e mezzo

PS: c’è un’altra recensione qui

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5 risposte

  1. Ci andai ad una cena di lavoro a fine 2006, se non ricordo male.
    Era estate, cenammo fuori: prato non curato con macchie gialle da mancata irrigazione, erba alta.
    Ricordo che aspettamo una marea di tempo per gli antipasti e che non mi entusiasmarono.
    I secondi erano alla griglia, cotti all’esterno; la griglia a un certo punto manca poco scoppiò e fece una fumata nera tipo conclave.
    La carne era dura.
    Da allora non ci ho più messo piede però, quindi prendo doverosamente atto che fu proabilmente una serata storta

  2. Ieri sera siamo andati al Cagliostro. Appena arrivati il cameriere ci ha offerto un bicchiere di prosecco da sorseggiare in attesa del tavolo (che sarà pronto in meno di cinque minuti comunque) mentre guardavamo i quadri esposti all’interno del locale.
    Abbiamo cenato fuori. E’ vero, come leggo nel commento qui sopra, che il prato non è curato ed ha “macchie gialle da mancata irrigazione, erba alta” ma, secondo me, il contrasto fra la suddetta “trascuratezza” (voluta? non saprei..) ed i tavoli + sedie in ferro battuto “vestiti” di bordeaux con mis en place curata non disturba affatto…anzi…il contesto è nel suo insieme assolutamente piacevole!
    In due abbiamo preso 2 antipasti (carne in bigoncia con lattuga e miele + timballo di bietola e patate con lardo: buoni!) e 2 secondi (costine di agnello con pistacchi e lime +
    misto di maiale alla griglia: buoni ed abbondanti!).
    Entrambi i secondi erano accompagnati da verdure alla griglia.
    1 bottiglia di acqua gassata.
    1 bottiglia di Ribolla gialla 2007 LA TUNELLA (avrei preferito il rosso ma non ero io a decidere e, comunque, secondo me, il rapporto qualità/prezzo di questo vino (14Euro) è eccellente!).
    Per finire 2 caffè.
    Il tutto per un totale (liquidi inclusi) di Euro 60,00 (30 Euro a testa). Io darei 3 ganasce e mezzo super meritate e CIRITORNOPRESTO!

  3. quando frequentavo il locale non faceva neppure ristorante!…anni e anni fa! ci sono capitato x caso sabato scorso e non mi posso lamentare!locale sull’elegante ma un po freddino,cucina lodevole, anche se la scelta e’ limitata, ottima la carne, buoni i ravioli di bufala e pesto alla valeriana ed ottimo il dolce; del vino non so bene, visto che ho preso solo un bicchiere di chianti ! la spesa e’ stata attorno ai 30 euro ma abbiamo preso delle pozioni anche a meta! alternativa valida ai locali piu’ popolari ultra affollati del sabato sera!saluti

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