Gualdo del Re – Suvereto (Li)

Gualdo è il termine un po’ maccheronico che traduce il tedesco “wald”, bosco. Da queste parti lo sottolineano tra le prime cose, subito dopo il cordialissimo benvenuto, attendendo poi sornioni la reazione di stupore: “bosco? Ma se qui è tutto un vigneto?”. Sorridono soddisfatti.

Siamo a Suvereto, Val di Cornia. Non più Bolgheri, non ancora Morellino – una striscia di terra che avrebbe potuto rimanere schiacciata tra i Sangiovese di Scansano e i Cabernet piantati all’ombra dei noti cipressi. Se questo non è accaduto, è perché anche qui si fanno ottimi vini rossi. E si aspira legittimamente all’Olimpo dell’enologia. Qualcuno ce l’ha già fatta (Tua Rita, chi altri?), qualcuno sta lavorando duro per accomodarsi finalmente al fianco dei migliori. Un’aspirazione sorretta talvolta da forti investimenti ed effetti speciali (Petra e la sua stupefacente cantina “nuraghe”), talvolta da costanza qualitativa e da un’intuizione precisa: fare dell’accoglienza in cantina un momento più godibile di quanto normalmente non sia. È quest’ultimo il caso di Gualdo del Re. Che con il suo bel ristorante (vero, non taglieri e zuppe riscaldate al microonde) offre ai visitatori soste piacevoli. Al punto che non è sbagliato riproporsi, magari in un’uggiosa domenica invernale, di prendere l’auto, guidare verso Sud, sfiorare il mare per poi svoltare, direzione Suvereto, anzi Gualdo del Re – il Ristorante.

Così si entra in una luminosa veranda chiusa da vetri. Il retropensiero di un ambiente artefatto ci coglie immediatamente (gli spropositati lucernari in ferro battuto non spuntano certo dalla soffitta dei nonni, per dire). Ma l’azienda, fuori, è troppo verace per permettere ai sospetti di incarnarsi in certezza. E allora il retropensiero rimarrà sempre allo stato latente, affacciandosi e ritirandosi a tratti. Questione non centrale, ad ogni modo.

Dentro la sala i tavoli sono piuttosto comodi e l’apparecchiatura è curata (sottopiatto e piatto ampi, posateria abbondante, calici fini). Il servizio invece è un po’ anonimo, seppur gentile. La lista dei vini, ovviamente, è del tutto autoreferenziale. Quasi per contrappasso la carta è ricca, con cinque/sei scelte per ciascuna portata. C’è anche un menù degustazione, comprensivo di abbinamento enologico articolato in cinque fasi: due passi nel bianco, due nel rosso, uno nel dolce. Una danza di etichette che senza dubbio invita al ballo. Hic! Impossibile resistergli.

Così inizia “il” degustazione, che si apre con un’insalata di anatra stagionata, avocado e pinoli. Gradevole, questo sì, ma fondamentalmente anonima. Non merita molte parole in più. Nel bicchiere, un Vermentino floreale e acidulo ci ricorda che questa non è precisamente una “terra da bianchi”.

Segue una grande scodella in stile “sombrero capovolto”, riempita da crema di ceci, vongole e porcini. E qui il gusto inizia a prendere forma e sostanza: la vellutata è omogenea, le vongole polpose e salmastre, i porcini acuti, in ottimo contrappunto con i molluschi. Un piatto che, pur citando, arriva diritto al punto: il sapore. Si beve Pinot Bianco, sormontato da un legno nuovo a tratti insostenibile.

I due primi piatti, singolarmente, percorrono un intero arco: dall’inutile (e inspiegabile) risotto con champagne e parmigiano, alle sontuose pappardelle al sugo di lepre, cacao e crema di castagne. Il risotto – che è probabilmente un piatto voluto dal giovane cuoco con esperienze pregresse al Nord e in Francia – non ha nessuna personalità. Solo i chicchi sono cotti ben al dente. Champagne e Parmigiano sfumano invece in una cremina inodore e insapore. Ancora il Pinot nel calice, ora più aperto, più rilassato.

Tutt’altra musica suonano le pappardelle. Qui ogni consistenza è citata e rispettata: dalla cremosità delle castagne, alla morbidezza della lepre, sino alla masticabile consistenza delle pappardelle. Non da meno sono i sapori. Armonia che non tende allo zero. Anzi. Da ordinarne immediatamente un bis fumante, se non fosse per il lungo menù. Intanto è arrivato il Cabernet Sauvignon, muscoloso e giovane. Eppure di facilissima beva.

Cambia ancora il vino e arriva il secondo: controfiletto di vitello con salsa al ‘Rennero, merlot in purezza dell’azienda che fa bella mostra di sé anche nel bicchiere. Lo stile d’oltralpe questa volta è letteralmente palpabile: la carne è coperta da una colata di salsa rubino-violacea che ne altera un po’ il sapore. Ma è buona – e questo è l’essenziale, no? Addirittura ha sentori di brace: che si faccia del sano barbecue, di là dalla porta della cucina? Interessante.

Infine il dessert, a chiudere un pranzo che coprirà abbondantemente il fabbisogno di cibo dell’intera giornata. Un ipertrofico parfait alla vaniglia con gelatine di vino aleatico e croccantino. Come dire? Puoi anche fare quello attento ad ogni singolo boccone, un filo snob se vogliamo. Ma davanti ad una tale esplosione di dolcezza, zucchero a velo, profumi caramellati e rassicurante cremosità, devi solo mangiare. Torni bimbo e ti ricordi dei sapori primari. Aiutandoti con la coppa di Moscato ad ogni cucchiaio. Perché la gola è un peccato che ha senso solo se compiuto al più scellerato livello di compiacimento.

Conclusioni: Gualdo del Re – il Ristorante – è un locale che non sfigurerebbe affatto in città, al fianco dei vari segnalati, forchettati e compagnia bella. Certo, manca l’anima di un Patron, forse manca uno stile preciso, sicuramente mancano gli slanci creativi (che talvolta sono voli pindarici, ma di sicuro creano le emozioni). La sostanza di base però c’è tutta. Quella stessa sostanza di cui sono fatti i sapori. E in fondo la missione di un ristorante in azienda non è quella di salire sui podi Michelin (anche se qualcuno l’ha fatto). Piuttosto qui si deve far stare bene il cliente. Lo si deve far scivolare, a pancia piena, verso lo shop aziendale. C’è allora, questo sì, un sano marketing sanguigno: “io ti nutro, tu mi compri bottiglie, merce, roba”.

Il prezzo del Menù Degustazione, poi, è ottimo: 40€, vini inclusi, per sei portate e cinque abbondanti calici abbinati. Elemento questo che, assieme al ricordo delle pappardelle e ad una diffusa piacevolezza, spingono il voto verso le tre ganasce e mezzo. Meritate e perfettibili.

3 ganasce e mezzo


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8 risposte

  1. Sintesi? cosa significa codesto termine? No, in realtà hai proprio ragione: quando si parla di cibo non mi so contenere. Diciamo che la prendo come una sfida: la prossima (molto prossima) recensione sarò misuratissimo. Più o meno… 😉

  2. Vabbè, è anche vero che se uno cerca il giudizio secco, basta che scorra alla fine. cercando le ganasce (come ho fatto io, da bravo sfaticato… ^_^)

  3. loool 😀

    complimenti per l’accuratezza con cui scrivi ma io ancora non ho capito se t’è piaciuto o no…

    nel senso alcune cose mi hanno sdubbiato sinceramente..però se passo di lì ci passo volentieri!!!!ma mica per il menù degustazione…non ci tengo a champagne e parmigiano 😛

  4. Premesse che “ce ne fossero a Pisa”… direi che mi è piaciuto per i vini (ovvio), alcuni piatti e il prezzo onesto. Ma certe proposte nel piatto non sono proprio felici. Un po’ ingenue – a pensar bene…

    Comunque “chapeau” ad un’azienda che apre un ristorante di qualità medio-alta, di questi tempi. Quindi se ci passi una bella domenica di sole, cercalo e fermati. Anche solo per un piatto e un bicchiere.

    Ultima cosa: cos’è che ti ha sdubbiato? Sono curioso. 😉

  5. Non conosco il ristorante, ma l’AMANSIO è uno splendido vino dolce che l’introvabilità rende ancora più prezioso.
    Coi datteri e mascarpone è qualcosa di clamoroso.

  6. Io non ci ritorno…. Abbiamo speso il giusto ma alcune portate (le mie!!!) non mi hanno soddisfatto (gnocchi alle vongole e gamberi e scampi) mentre buono era il tonno come àntipasto… E il dolce alla nocciola …. E pensare che leggendo la recensione ci avevo trascinato altre 11 persone facendo 40km…. Bello il locale …. Attenzione al tom tom che ti fa fare una scorciatoia incredibile con strada nei campi e guado dello stagno…. Gli altri che erano con me però erano abbza soddisfatti…… Servizio pessimo ….. Io non ci ritorno

  7. Ci sono stato per Pasqua. Il servizio era ottimo, vini ottimi anche al bicchiere ( i loro vini) ,
    antipasto : tornito di zucchini con fonduta di pecorino, e primo: tagliatelle al piccione. Nel complesso una cena più discreta. 30 euro a testa. Non mi ha cambiato la vita, però potrei anche tornarci, l’esperienza è stata abbastanza positiva.

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